2_7 Acquisto assenza certificati di abitabilità_conformità

5 08 2011

Il rifiuto del promissario acquirente di stipulare l’atto di compravendita definitiva di un immobile
privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, anche se il
mancato rilascio dipende da inerzia del Comune (nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi
il promittente venditore) è giustificato, ancorché anteriore all’entrata in vigore della legge 28
febbraio 1985, n. 47, perché l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo
a soddisfare i bisogni che portano all’ acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per
cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali.

Corte di Cassazione Sez. || Civ., Sentenza n. 14899 del 06/07/2011


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1_46 antenna condominiale uso e spese

5 08 2011

L’antenna per la ricezione del segnale radiotelevisivo, assieme ai cavi per portare tale segnale nelle unità immobiliari, è parte integrante del così detto impianto TV. Anche se non è citato nell’art. 1117 c.c. non per questo non dev’essere considerato bene di proprietà comune. La Cassazione, infatti, ha in più occasioni ribadito che sono condominiali non solamente le cose elencate nella norma, ma anche quelle che si trovano in un rapporto di funzionalità ed accessorietà rispetto alle parti di proprietà esclusiva.

L’impianto TV, quindi, è funzionale alla ricezione del segnale radiotelevisivo, quindi non può dubitarsi della sua condominialità. Solo una diversa disposizione contrattuale (contenuta negli atti d’acquisto o nel regolamento condominiale) o la sua installazione successiva alla costruzione dell’edificio (in questi casi sarebbe da considerarsi un’innovazione suscettibile d’utilizzazione separata) possono far sì che la proprietà sia ristretta solamente ad un gruppo e non a tutti i condomini. Sono esclusi a priori dalla proprietà dell’impianto anche tutti quei condomini che non hanno la possibilità materiale di usufruirne (ad esempio proprietari dei box o delle cantine). In questo caso tutti quanto gli interessati partecipano alle spese d’uso e conservazione del più volte citato impianto.

Al pari del riscaldamento condominiale il condòmino può rinunciare anche all’uso dell’antenna condominiale. In tal caso, come per il riscaldamento, si parteciperà alla spese di conservazione ma non a quelle d’uso. La Cassazione, nella sentenza n. 5974 del 25 marzo 2004, spiega chiaramente perché tale affermazione sia corretta. Il motivo sta nella natura delle obbligazioni sottese a spese di conservazione e spese d’uso. In tal senso si legge in sentenza che:

……è noto, altresì, che sono diversi la funzione ed il fondamento delle spese per la conservazione e delle spese per I’uso, distinti in linea di principio dall’art. 1104 cod. civ. che, sebbene dettato in tema di comunione, in ragione della portata generale si applica anche al condominio negli edifici. E’ differente lo scopo, cui le distinte obbligazioni adempiono, ed è dissimile il fondamento, in virtù del quale le obbligazioni (di concorrere alle spese per la conservazione e per l’uso delle parti comuni) si ascrivono ai condomini. La diversità si riconduce alla distinzione tra la utilizzazione oggettiva e l’uso soggettivo delle parti comuni. Le spese per la conservazione – in conformità con lo scopo e con il fondamento, consistenti rispettivamente nel mantenimento della integrità, cioè del valore capitale, delle cose, degli impianti e dei servizi comuni e nella loro utilizzazione obbiettiva – si imputano ai condomini in ragione del collegamento immediato tra l’appartenenza ed i contributi. Le spese per l’uso – in consonanza con il fine e con la ratio, configurata dal godimento soggettivo e dagli oneri determinati dal costo – si ripartiscono in relazione alla misura dell’uso. Tenuto conto della relazione tra cose proprie e comuni; del diverso spessore del carattere della necessità per l’esistenza e per l’uso delle unità immobiliari in proprietà solitaria; della funzione e del fondamento differenti delle diverse spese per le parti comuni: tutto ciò considerato, emerge la ragione per cui nell’art. 1118 comma 2 cod. civ. delle spese per l’uso non si fa menzione. A differenza dalle spese per la conservazione delle parti comuni, le quali ancorché non assolutamente indispensabili offrono comunque una certa utilità oggettiva a tutte le unità immobiliari, le spese per l’uso sono correlate alI’ effettivo godimento: ovverosia ad un fatto soggettivo, di per sé mutevole, che può essere attuato in misura diversa o che, in ipotesi, potrebbe anche non essere effettuato per nulla. Perciò alle spese per la conservazione al condomino non è consentito sottrarsi, anche quando le cose sono indispensabili soltanto entro certi limiti, come nel caso dell’impianto di riscaldamento; a determinate condizioni, invece, alle spese per l’uso il condomino può evitare di concorrere” (Cass. n. 5974/04).


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3_9 Calcoli di convenienza sulla CEDOLARE SECCA

20 07 2011

Calcoli di convenienza sulla CEDOLARE SECCA

 

La cedolare secca si applica alle persone fisiche e costituisce un regime tassativo alternativo a quello IRPEF per la tassazione sui redditi derivanti dalla locazione degli immobili ad uso abitativo.

Il regime della cedolare secca presenta le seguenti caratteristiche:

 

* è relativo solo agli immobili ad uso abitativo (sono escluse le locazioni effettuate nell’esercizio

d’impresa/arti e professioni o da enti non commerciali);

 

* la base imponibile è pari al 100% del canone stabilito dalle parti;

* è sostitutivo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali, nonché

dell’imposta di bollo sul contratto di locazione;

 

* è applicabile alle sole persone fisiche;

 

* prevede la sospensione dell’aggiornamento dei canoni; non prevede il pagamento da parte del conduttore dell’imposta di registro.

Proviamo ad effettuare un confronto tra i due regimi, al fine di valutare l’eventuale convenienza della cedolare secca.

 

Per la cedolare secca le aliquote da applicare all’importo del canone annuo sono:

– 21% in regime di libero mercato

  • 19% per i contratti di locazione a canone concordato

Secondo il regime ordinario vanno considerate le diverse aliquote IRPEF, in funzione del reddito, e le deduzioni e detrazioni forfettarie. In particolare:

 

* in regime di libero mercato e in regime di equo canone : si applica una deduzione forfettaria del

15%

 

** in regime di canone convenzionato in comune ad alta densità abitativa: deduzione del 15% +

riduzione del 30% del reddito imponibile

Pertanto, nel regime ordinario, si ha:

Contratti liberi

Reddito (in €) Aliquota IRPEF (in % sul Imposta sugli affitti – regime reddito) IRPEF (in % sul reddito)

fino a 15.000 23% 0,85 x 23% = 19,55%

15.000 – 28.000 27% 0,85 x 27% = 22,95%

28.000 – 55.000 38% 0,85 x 38% = 32,30%

55.000 – 75.000 41% 0,85 x 41% = 34,85%

Oltre 75.000 43% 0,85 x 43% = 36,55%

 

Contratti a canone convenzionato

Reddito (in €) Aliquota IRPEF (in % sul Imposta sugli affitti – regime reddito) IRPEF (in % sul reddito)

fino a 15.000 23% 0,7 x 0,85 x 23% = 13,68%

15.000 – 28.000 27% 0,7 x 0,85 x 27% = 16,06%

28.000 – 55.000 38% 0,7 x 0,85 x 38% = 22,61%

55.000 – 75.000 41% 0,7 x 0,85 x 41% = 24,39%

oltre 75.000 43% 0,7 x 0,85 x 43% = 25,58%

 

La conclusione è che la cedolare secca converrebbe:

 

*in regime di contratti liberi, a chi dichiara un reddito superiore a 15,000 €

** in regime di contratti agevolati, a chi dichiara un reddito superiore a 28,000 €

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1_45 distacco da riscaldamento centrale

25 06 2011

Dalla Corte di Cassazione arriva l’ennesima conferma: in determinate condizioni il condòmino può rinunciare all’uso dell’impianto centralizzato, evitando così le relative spese, senza che l’assemblea possa in alcun modo vietarlo. Soddisfatte le condizioni richieste, infatti, ogni diversa delibera condominiale sarebbe lesiva del diritto individuale sulle cose comuni del singolo comproprietario. Questo, in sintesi, il principio espresso dai giudici, con sentenza n. 6481 dello scorso 22 marzo.

Se, in un primo momento la giurisprudenza negava tale possibilità, causa l’irrinunciabilità della proprietà delle cose comuni, più recentemente la stessa Cassazione, come i Tribunali di merito, ha mutato il proprio orientamento.

Il tutto ruota sulla distinzione rinuncia all’uso, rinuncia alla proprietà. La prima è possibile e dà luogo all’esonero dalle spese d’uso del bene cui si rinuncia ma non a quelle di conservazione, la seconda non è mai consentita.

Quanto all’impianto di riscaldamento, che è poi il bene sul quale in tema di rinuncia all’uso s’è incentrata l’attenzione di tutti, la Cassazione ormai costantemente afferma che: “la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell’impianto centralizzato è legittima quando l’interessato dimostri che, dal suo operato, non derivano né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell’impianto, né squilibri termici pregiudizievoli per la erogazione del servizio ” (Cass. n. 5974/04)

L’assenza di squilibrio termico e di aggravio di spese per gli altri condomini può essere dimostrata tramite la relazione d’un tecnico specializzato che spieghi, tecnicamente ed esaustivamente, perché dal distacco non possano derivare simili inconvenienti.

Che cosa accade se nonostante tale dimostrazione l’assemblea deliberi di non autorizzare il distacco?
La risposta è contenuta nella sentenza della Cassazione, n. 6481,
sopracitata. I giudici sono stati chiarissimi nell’affermare che “il condomino può legittimamente rinunciare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini, e, fermo il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto, è tenuto a partecipare a quelle di gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini” (Cass., n. 7518 del 2006; Cass., 5974 del 2004; Cass., n. 8924 del 2001). La delibera assembleare che, pur in presenza di tali condizioni, respinga la richiesta di autorizzazione al distacco è, invero, affetta da nullità, e non da annullabilità, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune (Cass., S.U., n. 4806 del 2005)” (Cass. 22 marzo).

In sostanza di fronte ad un immotivato diniego l’interessato potrà impugnare la deliberazione in ogni momento per fare valere il proprio diritto al distacco.

Fonte:condominioweb

Gallucci avv. Alessandro

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1_44 Uso delle parti comuni: i cartelloni pubblicitari

13 06 2011

Non è raro, nelle nostre città, imbattersi su cartelloni pubblicitari posizionati sulle facciate laterali degli edifici. Un business per i proprietari degli immobili molto spesso allettati dalla possibilità d’ottenere un facile guadagno senza dover fare sostanzialmente nulla. Se si tratta di edifici di proprietà esclusiva di una sola persona e salvo particolari vincoli pubblicistici relativi alla qualificazione dell’immobile come di particolare pregio e nell’osservanza delle norme sulla pubblicità, egli sarà libero di locare quella parte del proprio stabile nei modi che ritiene più opportuni.

La situazione, è completamente differente per quanto concerne un edificio in condominio. In questo caso, è l’assemblea a doversi pronunciare su quest’uso di una parte comune. Il primo nodo da sciogliere: come deve inquadrarsi una decisione del genere? Si tratta di una semplice deliberazione in merito all’uso delle cose comuni o la stessa può essere inquadrata come un’innovazione? Secondo la Cassazione “ per innovazioni delle cose comuni s’intendono, dunque, non tutte le modificazioni (qualunque opus novum), sebbene le modifiche, le quali importino l’alterazione della entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione, in modo che le parti comuni, in seguito alle attività o alle opere innovative eseguite, presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti (tra le tante: Cass.,23 ottobre 1999, n. 11936; Casa., 29 ottobre 1998, n. 1389; Cass., 5 novembre 1990, n. 10602)” (così Cass. 26 maggio 2006 n. 12654).

Ovvio che non possa essere messo in dubbio che l’aspetto della facciata muti a seguito dell’apposizione del cartellone pubblicitario, non si comprende come e perché lo stesso possa essere – quanto meno in relazione a questa definizione d’innovazione (che è poi quella comunemente accettata) – considerato al pari d’un intervento innovativo. In ragione di ciò si può dire senza ombra tentennamenti che quella sull’apposizione di cartelloni pubblicitari dev’essere considerato al pari d’una normale decisione inerente l’uso delle cose comuni e come tale deliberabile dall’assemblea con le maggioranze previste, ossia quelle previste dal regolamento di condominio. L’obiezione che potrebbe essere sollevata è quella attinente l’alterazione del decoro dell’edificio. E’ bene ricordare che per essere rilevante tale alterazione deve sostanziarsi in “ un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle porzioni in esso comprese, per cui, sotto tale profilo, è necessario tener conto dello stato estetico del fabbricato al momento in cui l’innovazione viene posta in essere”.

Il cartellone, quindi, deve deturpare il palazzo a tal punto da farlo deprezzare. Prova difficile, questa, visto e considerato che l’apposizione di pubblicità, anche se il fatto non incide sul piano estetico, comporta un guadagno per il condominio, il quale, è bene ricordarlo, in assenza di specifici accordi tra tutti i condomini, va diviso tra i comproprietari in ragione dei millesimi di proprietà.

 

Fonte:condominioweb

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