L’antenna per la ricezione del segnale radiotelevisivo, assieme ai cavi per portare tale segnale nelle unità immobiliari, è parte integrante del così detto impianto TV. Anche se non è citato nell’art. 1117 c.c. non per questo non dev’essere considerato bene di proprietà comune. La Cassazione, infatti, ha in più occasioni ribadito che sono condominiali non solamente le cose elencate nella norma, ma anche quelle che si trovano in un rapporto di funzionalità ed accessorietà rispetto alle parti di proprietà esclusiva.
L’impianto TV, quindi, è funzionale alla ricezione del segnale radiotelevisivo, quindi non può dubitarsi della sua condominialità. Solo una diversa disposizione contrattuale (contenuta negli atti d’acquisto o nel regolamento condominiale) o la sua installazione successiva alla costruzione dell’edificio (in questi casi sarebbe da considerarsi un’innovazione suscettibile d’utilizzazione separata) possono far sì che la proprietà sia ristretta solamente ad un gruppo e non a tutti i condomini. Sono esclusi a priori dalla proprietà dell’impianto anche tutti quei condomini che non hanno la possibilità materiale di usufruirne (ad esempio proprietari dei box o delle cantine). In questo caso tutti quanto gli interessati partecipano alle spese d’uso e conservazione del più volte citato impianto.
Al pari del riscaldamento condominiale il condòmino può rinunciare anche all’uso dell’antenna condominiale. In tal caso, come per il riscaldamento, si parteciperà alla spese di conservazione ma non a quelle d’uso. La Cassazione, nella sentenza n. 5974 del 25 marzo 2004, spiega chiaramente perché tale affermazione sia corretta. Il motivo sta nella natura delle obbligazioni sottese a spese di conservazione e spese d’uso. In tal senso si legge in sentenza che:
“ ……è noto, altresì, che sono diversi la funzione ed il fondamento delle spese per la conservazione e delle spese per I’uso, distinti in linea di principio dall’art. 1104 cod. civ. che, sebbene dettato in tema di comunione, in ragione della portata generale si applica anche al condominio negli edifici. E’ differente lo scopo, cui le distinte obbligazioni adempiono, ed è dissimile il fondamento, in virtù del quale le obbligazioni (di concorrere alle spese per la conservazione e per l’uso delle parti comuni) si ascrivono ai condomini. La diversità si riconduce alla distinzione tra la utilizzazione oggettiva e l’uso soggettivo delle parti comuni. Le spese per la conservazione – in conformità con lo scopo e con il fondamento, consistenti rispettivamente nel mantenimento della integrità, cioè del valore capitale, delle cose, degli impianti e dei servizi comuni e nella loro utilizzazione obbiettiva – si imputano ai condomini in ragione del collegamento immediato tra l’appartenenza ed i contributi. Le spese per l’uso – in consonanza con il fine e con la ratio, configurata dal godimento soggettivo e dagli oneri determinati dal costo – si ripartiscono in relazione alla misura dell’uso. Tenuto conto della relazione tra cose proprie e comuni; del diverso spessore del carattere della necessità per l’esistenza e per l’uso delle unità immobiliari in proprietà solitaria; della funzione e del fondamento differenti delle diverse spese per le parti comuni: tutto ciò considerato, emerge la ragione per cui nell’art. 1118 comma 2 cod. civ. delle spese per l’uso non si fa menzione. A differenza dalle spese per la conservazione delle parti comuni, le quali ancorché non assolutamente indispensabili offrono comunque una certa utilità oggettiva a tutte le unità immobiliari, le spese per l’uso sono correlate alI’ effettivo godimento: ovverosia ad un fatto soggettivo, di per sé mutevole, che può essere attuato in misura diversa o che, in ipotesi, potrebbe anche non essere effettuato per nulla. Perciò alle spese per la conservazione al condomino non è consentito sottrarsi, anche quando le cose sono indispensabili soltanto entro certi limiti, come nel caso dell’impianto di riscaldamento; a determinate condizioni, invece, alle spese per l’uso il condomino può evitare di concorrere” (Cass. n. 5974/04).
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