1_46 antenna condominiale uso e spese

5 08 2011

L’antenna per la ricezione del segnale radiotelevisivo, assieme ai cavi per portare tale segnale nelle unità immobiliari, è parte integrante del così detto impianto TV. Anche se non è citato nell’art. 1117 c.c. non per questo non dev’essere considerato bene di proprietà comune. La Cassazione, infatti, ha in più occasioni ribadito che sono condominiali non solamente le cose elencate nella norma, ma anche quelle che si trovano in un rapporto di funzionalità ed accessorietà rispetto alle parti di proprietà esclusiva.

L’impianto TV, quindi, è funzionale alla ricezione del segnale radiotelevisivo, quindi non può dubitarsi della sua condominialità. Solo una diversa disposizione contrattuale (contenuta negli atti d’acquisto o nel regolamento condominiale) o la sua installazione successiva alla costruzione dell’edificio (in questi casi sarebbe da considerarsi un’innovazione suscettibile d’utilizzazione separata) possono far sì che la proprietà sia ristretta solamente ad un gruppo e non a tutti i condomini. Sono esclusi a priori dalla proprietà dell’impianto anche tutti quei condomini che non hanno la possibilità materiale di usufruirne (ad esempio proprietari dei box o delle cantine). In questo caso tutti quanto gli interessati partecipano alle spese d’uso e conservazione del più volte citato impianto.

Al pari del riscaldamento condominiale il condòmino può rinunciare anche all’uso dell’antenna condominiale. In tal caso, come per il riscaldamento, si parteciperà alla spese di conservazione ma non a quelle d’uso. La Cassazione, nella sentenza n. 5974 del 25 marzo 2004, spiega chiaramente perché tale affermazione sia corretta. Il motivo sta nella natura delle obbligazioni sottese a spese di conservazione e spese d’uso. In tal senso si legge in sentenza che:

……è noto, altresì, che sono diversi la funzione ed il fondamento delle spese per la conservazione e delle spese per I’uso, distinti in linea di principio dall’art. 1104 cod. civ. che, sebbene dettato in tema di comunione, in ragione della portata generale si applica anche al condominio negli edifici. E’ differente lo scopo, cui le distinte obbligazioni adempiono, ed è dissimile il fondamento, in virtù del quale le obbligazioni (di concorrere alle spese per la conservazione e per l’uso delle parti comuni) si ascrivono ai condomini. La diversità si riconduce alla distinzione tra la utilizzazione oggettiva e l’uso soggettivo delle parti comuni. Le spese per la conservazione – in conformità con lo scopo e con il fondamento, consistenti rispettivamente nel mantenimento della integrità, cioè del valore capitale, delle cose, degli impianti e dei servizi comuni e nella loro utilizzazione obbiettiva – si imputano ai condomini in ragione del collegamento immediato tra l’appartenenza ed i contributi. Le spese per l’uso – in consonanza con il fine e con la ratio, configurata dal godimento soggettivo e dagli oneri determinati dal costo – si ripartiscono in relazione alla misura dell’uso. Tenuto conto della relazione tra cose proprie e comuni; del diverso spessore del carattere della necessità per l’esistenza e per l’uso delle unità immobiliari in proprietà solitaria; della funzione e del fondamento differenti delle diverse spese per le parti comuni: tutto ciò considerato, emerge la ragione per cui nell’art. 1118 comma 2 cod. civ. delle spese per l’uso non si fa menzione. A differenza dalle spese per la conservazione delle parti comuni, le quali ancorché non assolutamente indispensabili offrono comunque una certa utilità oggettiva a tutte le unità immobiliari, le spese per l’uso sono correlate alI’ effettivo godimento: ovverosia ad un fatto soggettivo, di per sé mutevole, che può essere attuato in misura diversa o che, in ipotesi, potrebbe anche non essere effettuato per nulla. Perciò alle spese per la conservazione al condomino non è consentito sottrarsi, anche quando le cose sono indispensabili soltanto entro certi limiti, come nel caso dell’impianto di riscaldamento; a determinate condizioni, invece, alle spese per l’uso il condomino può evitare di concorrere” (Cass. n. 5974/04).


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3_8 danno al locatore per mancato rilascio

25 06 2011

Corte Suprema di Cass., Sez.. III Civ., sentenza del 14 giugno 2011 n.12962

Nella sentenza si legge:
“E’ costante l’indirizzo interpretativo di questa S.C. (Cass. n. 7670/93), secondo cui, in tema di responsabilità del conduttore per il ritardato rilascio di immobile locato, il maggior danno, di cui all’art. 1591, seconda parte, che ha natura contrattuale, deve essere concretamente provato dal locatore, per cui il mero fatto del ritardo può legittimare soltanto una condanna generica al risarcimento, richiedendosi per contro, in sede di liquidazione, la specifica prova dell’esistenza del danno medesimo, in rapporto alle condizioni dell’immobile, alla sua ubicazione e alle possibilità di nuova sua utilizzazione, nonché all’esistenza di soggetti seriamente disposti ad assicurarsene il godimento dietro corrispettivo, dalle quali emerga il verificarsi di un’effettiva lesione del patrimonio (Cass. n. 29202 e 23720/08).

Del resto, è pacifico che, in via generale, la prova del maggior danno non sorge automaticamente, sulla base del valore locativo presumibilmente ricavabile dalla ipotesi di locazione o vendita del bene (ex plurimis: Cass. n. 4968/97, Cass. n. 993/2002); ma richiede la specifica dimostrazione di un’effettiva lesione del patrimonio del locatore, cioè nel non aver potuto dare in locazione il bene per un canone più elevato, nel non averlo potuto utilizzare direttamente e tempestivamente, nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente od in altre analoghe situazioni pregiudizievoli (Cass. n. 2525/06; 13653/06; 20829/06), con la precisazione che l’onere di detta prova è a carico del locatore, tenuto a dar conto dell’esistenza di ben determinate proposte di locazione o d’acquisto e di concreti propositi di utilizzazione (Cass. n. 6359/95; 1133/99; 4864/2000; 993/02; 9545/2002, 14753/05; 7499/07) .

Quindi, nel caso di specie il giudice di secondo grado non si è esattamente uniformato alle suddette regole di diritto e non ha ritenuto di dovere fare riferimento alla perdita della concreta occasione di nuova locazione che un terzo aveva concretamente dato ai locatori, non ha considerato che proprio il ritardato rilascio dell’immobile aveva indotto il nuovo conduttore a risolvere il rapporto di locazione ad uso commerciale, così determinando il pregiudizio dei locatori (certamente rapportabile all’esistenza ed alla durata del contratto stipulato con il terzo).”

 fonte: condominioweb


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1_45 distacco da riscaldamento centrale

25 06 2011

Dalla Corte di Cassazione arriva l’ennesima conferma: in determinate condizioni il condòmino può rinunciare all’uso dell’impianto centralizzato, evitando così le relative spese, senza che l’assemblea possa in alcun modo vietarlo. Soddisfatte le condizioni richieste, infatti, ogni diversa delibera condominiale sarebbe lesiva del diritto individuale sulle cose comuni del singolo comproprietario. Questo, in sintesi, il principio espresso dai giudici, con sentenza n. 6481 dello scorso 22 marzo.

Se, in un primo momento la giurisprudenza negava tale possibilità, causa l’irrinunciabilità della proprietà delle cose comuni, più recentemente la stessa Cassazione, come i Tribunali di merito, ha mutato il proprio orientamento.

Il tutto ruota sulla distinzione rinuncia all’uso, rinuncia alla proprietà. La prima è possibile e dà luogo all’esonero dalle spese d’uso del bene cui si rinuncia ma non a quelle di conservazione, la seconda non è mai consentita.

Quanto all’impianto di riscaldamento, che è poi il bene sul quale in tema di rinuncia all’uso s’è incentrata l’attenzione di tutti, la Cassazione ormai costantemente afferma che: “la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell’impianto centralizzato è legittima quando l’interessato dimostri che, dal suo operato, non derivano né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell’impianto, né squilibri termici pregiudizievoli per la erogazione del servizio ” (Cass. n. 5974/04)

L’assenza di squilibrio termico e di aggravio di spese per gli altri condomini può essere dimostrata tramite la relazione d’un tecnico specializzato che spieghi, tecnicamente ed esaustivamente, perché dal distacco non possano derivare simili inconvenienti.

Che cosa accade se nonostante tale dimostrazione l’assemblea deliberi di non autorizzare il distacco?
La risposta è contenuta nella sentenza della Cassazione, n. 6481,
sopracitata. I giudici sono stati chiarissimi nell’affermare che “il condomino può legittimamente rinunciare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini, e, fermo il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto, è tenuto a partecipare a quelle di gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini” (Cass., n. 7518 del 2006; Cass., 5974 del 2004; Cass., n. 8924 del 2001). La delibera assembleare che, pur in presenza di tali condizioni, respinga la richiesta di autorizzazione al distacco è, invero, affetta da nullità, e non da annullabilità, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune (Cass., S.U., n. 4806 del 2005)” (Cass. 22 marzo).

In sostanza di fronte ad un immotivato diniego l’interessato potrà impugnare la deliberazione in ogni momento per fare valere il proprio diritto al distacco.

Fonte:condominioweb

Gallucci avv. Alessandro

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3_7 Disdetta senza motivo da parte del locatore

13 05 2011

Corte di Cassazione Sezione 3 Civile, Sentenza del 28 febbraio 2011, n. 4919

Nel caso in cui la disdetta da parte del locatore di un immobile sia immotivata, il conduttore ha diritto alla rinnovazione del contratto e non alla prelazione per l’acquisto.

Ai sensi della Legge 9 12 1998, n. 431 e nel caso di vendita a terzi – successivamente alla disdetta da parte del locatore dell’immobile locato, in primisesiste il diritto di prelazione del conduttore e, quindi, di riscattare, nei confronti del terzo acquirente, l’immobile condotto in locazione, se il locatore ha manifestato, nella disdetta, l’intenzione di vendere a terzi l’unita’ immobiliare (giustificando con tale intenzione la propria opposizione al rinnovo del contratto alla scadenza del primo quadriennio).

Il diritto di prelazione (e di riscatto), pertanto, non sorge qualora la disdetta sia immotivata, derivando da tale circostanza – accertato che la disdetta e’ stata, illegittimamente, intimata per la prima scadenza unicamente il diritto del conduttore alla rinnovazione del contratto.

(In caso di specie, la disdetta e’ stata intimata per la prima scadenza del contratto, ai sensi della Legge n. 431 del 1998 e senza che ricorresse uno dei motivi indicati nell’articolo 3.)

Infine le legge, dà sempre comunque “una mano” alla parte debole (l’inquilino), quindi i locatori facciano attenzione a motivare eventuali disdette/diniego di rinnovi.

fonte:condominioweb

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2_6 compravendita responbilità notaio per ipoteca

6 04 2011

Il risarcimento del danno futuro, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, non può compiersi in base ai medesimi criteri di certezza che presiedono alla liquidazione del danno già completamente verificatosi nel momento del giudizio, e deve avvenire secondo un criterio di rilevante probabilità; a tal fine, il rischio concreto di pregiudizio è configurabile come danno futuro ogni volta che l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto. Nella fattispecie i giudici della Suprema Corte hanno cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità professionale del notaio in relazione alla compravendita di un immobile gravato da ipoteca per il quale l’istituto bancario aveva richiesto all’acquirente il pagamento della frazione di mutuo rimasta insoluta.

I giudici hanno pertanto affermato la responsabilità solidale del venditore dell´immobile e del notaio verso il terzo acquirente per il danno, avendo il primo nascosto, all´atto della compravendita, l´esistenza di una iscrizione ipotecaria gravante sul bene e il secondo per non aver adempiuto le previste visure.

 

Cassazione, Sez. III, 27 aprile 2010, n. 10072

 

 

fonte:condominioweb

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